Il mestiere dello Psicologo

Il mestiere dello Psicologo

Riflessioni personali sulla figura dello psicologo

 

Dr. Antonio Marco Campus

Psicologo clinico, criminologo, psicodiagnosta, esperto in sessuologia clinica

 

 

Dopo più di dieci anni di pratica clinica, di confronti e relazioni professionali con colleghi psicologi mi sono domandato, a fronte di ripetuti atteggiamenti stereotipati che ho notato in diverse occasioni, qual è il rapporto che intercorre tra colleghi e qual è la preparazione psicologica dello psicologo nello svolgere il proprio mandato.

Pur trattandosi di riflessioni puramente personali e nate da esperienze dirette, indirette, ed esperimenti realizzati su diversi social network sono sicuro che molti psicologi criticheranno quanto a seguire ponendo in essere meccanismi di difesa allorché primordiali e disfunzionali piuttosto che interrogarsi e meditare.

Se è vero che tra medici non ci si ferisce, tra avvocati non ci si accusa, è altrettanto vero tra psicologi ci si attacca, nelle forme più vili e piu disparate.

Fortunatamente non per tutti, in quanto esistono anche psicologi diversi dal quadro che segue. 

Non esiste collaborazione, non sussiste cooperazione e non sovviene a nessuno di creare un lavoro di  squadra con la suddivisione di ambiti e competenze.

In virtù della confusione accademica e specialistica, dove lo psicologo del lavoro diventa psicoterapeuta e si occupa di fare clinica e non del settore per cui ha studiato, dove lo psicologo evolutivo  non prende più in carico i bambini ma si dedica agli adulti perché psicoterapeuta, etc.,  assistiamo oggi ad una miscellanea di competenze scollegate tra loro che rendono arduo un lavoro di gruppo o di equipe.

I tratti più comuni che ho riscontrato nei colleghi sono allarmanti e disarmanti.

Chi si propone di aiutare il prossimo nella promozione del suo benessere psicofisico molto spesso ha una personalità incline ad una forma di narcisismo maligno che vieta la reale  comprensione del disagio del paziente trasmutando in una sorta di delirante soliloquio sulle proprie competenze e concretizzandosi in comportamenti atti a squalificare i colleghi.  Altresì subentra un delirio di onnipotenza per cui lo psicologo crede di poter risolvere ogni situazione che gli capita ignorando i propri limiti nell’esercizio della professione e nella sua personalità, alimentando l’inconsistente credenza di essere bravo solo lui. Il che nega la relazione tra colleghi.  In comorbilità spicca un’elevata frustrazione latente agli stimoli avversi che spesso si traduce in una forma manifesta di aggressività verbale  nei confronti di colleghi e in genere di persone che mettono in dubbio il loro ruolo. Dalla mia esperienza e dagli esperimenti che ho realizzato ho notato altresì un incapacità di gestire le provocazioni anche quando palesi. Alcuni colleghi accettano e colludono con tali provocazioni mostrando il peggio di sè e aggredendo verbalmente il collega. Mi chiedo semplicemente se dinnanzi ad una provocazione da parte del paziente pongono in essere lo stesso comportamento. 

Sebbene il principio della collusione e la gestione delle provocazioni sia basilare per l'esercizio della professione, sembra che alcuni non riescano ad esercitarle. 

Lo psicologo per uno psicologo è semplicemente un nemico da annientare qualora costui faccia meglio o emerga, i rapporti sono strumentalizzati dalla possibilità di ottenere qualcosa, e quando si tratta della gestione di un paziente ingestibile emerge l’irresponsabilità di rinunciare ad inviarlo ad un collega pur di mantenere l’introito economico.

Gli psicoterapeuti squalificano gli psicologi e viceversa e tutti squalificano tutti perché tutto è riconducibile a se stessi come uniche entità qualificate.

Il paziente viene perso di vista, le sue esigenze vengono ignorate e le sue speranze disattese alimentando quel circuito di voci che recita “sono stata dallo psicologo e non mi è servito a niente”.

Male, molto male per l’intera categoria e per il paziente.

La realtà italiana della psicologia ancora troppo arretrata, stereotipata e incanalata in luoghi comuni beceri e logorati, purtroppo trasforma la figura dello psicologo in una sorta di saggio, di stregone che tutto può, e forse è proprio per questo che alcuni colleghi si percepiscono come onnipotenti e sono cosi restii al mutamento.  Cito il caso dell’omosessualità da alcuni psicologi considerata ancora una malattia da curare con le terapie riprative a dispetto di quanto asserito dall’OMS e dall’albo nazionale.

Ognuno col proprio sapere, ognuno con la convinzione del proprio sapere, in un deambulo che esclude il confronto ed il prossimo.

Tutti pronti ad attaccare il collega appena l’occasione si presenta, appena il collega spicca dal gruppo, appena fa qualcosa per distinguersi deve essere affossato. Bisogna rimanere negli schemi. Gli stessi schemi che proteggono il nostro mandato ma ne limitano l’efficacia.

Personalmente sogno un altro modello di psicologo.

Ambisco ad un professionista della salute, un imprenditore di se stesso che sa presentarsi e proporsi e vendere le sue conoscenze per aiutare il prossimo. Il denaro, la parcella, diventa un tramite, un mezzo di riconoscimento del proprio sapere da parte del paziente. Equo e calibrato. Spero in una psicologia alla portata di tutti che non tralasci però etica e deontologia.

Mi auguro che il rapporto tra colleghi migliori e che non ci si consideri più ostacoli o elementi disturbanti ma bensì risorse da cui attingere esperienza e nozioni in una relazione reciproca e paritaria.

Il nostro mestiere, sebbene recente, credo abbia un peso e una valenza importantissima nella società moderna, la stessa che glielo nega, la stessa alimentata da alcuni colleghi troppo egocentrici.

Lo psicologo è colui che come mandato sociale e morale ha la cura e la promozione del benessere psichico delle persone,  e colui che insegna a gestire gli impulsi e che aiuta a correggere le condotte disfunzionali, non è colui che da consigli, ma pareri scientifici, non e colui da idolatrare ma colui dal quale attingere forza e nuove prospettive  mentali.  Deve essere umile e paziente, riconoscente nei confronti del paziente  in un rapporto reciproco di crescita e confronto.

Guai allo psicologo che afferma “i miei pazienti devono ringraziare di avere me come psicologa perche sono umile”, perché non riuscirà ad essere d’aiuto a nessuno,  invero sfrutterà quel paziente per alimentare il suo insaziabile narcisismo e delirio di onnipotenza.

In un paese dove ancora oggi esiste una netta diffidenza da parte dei cittadini nei confronti della figura dello psicologo occorre promuoversi, pubblicizzarsi, avvicinarsi alla gente in punta di piedi per eliminare lo spauracchio che “solo i matti vanno dallo psicologo”, occorre inventarsi e reinventarsi per  far conoscere e vendere le nostre competenze.

Purtroppo sebbene sia un qualcosa di scontato  e di facilmente  attuabile rimane attualmente difficile far ciò per via delle critiche e delle offese gratuite mosse da alcuni colleghi incapaci.

Fortunatamente nella mia esperienza ho avuto il piacere di conoscere anche colleghi psicologi preparatissimi e perfettamente in linea con gli assunti fondamentali del nostro mandato. Persone realizzate e caparbie, tenaci e competenti.

 

Mi auguro che il substrato italiano della psicologia possa presto cambiare per il bene dei pazienti e di noi stessi.